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Licenziamento per abuso del congedo parentale: quando la tutela genitoriale si trasforma in illecito

Il congedo parentale rappresenta uno degli strumenti più importanti per garantire ai genitori la possibilità di prendersi cura dei propri figli nei primi anni di vita, assicurando loro quell’assistenza materiale e affettiva fondamentale per il loro sviluppo. Tuttavia, come confermato dalla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 2618/2025, questo diritto non può essere utilizzato in modo improprio per finalità diverse da quelle previste dal legislatore.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte

La pronuncia della Corte ha riguardato il caso di un dipendente licenziato per aver svolto un’attività lavorativa durante il periodo di fruizione del congedo parentale retribuito, previsto dall’art. 32 del D.Lgs. n. 151/2001. Nello specifico, il lavoratore, mentre beneficiava del congedo per assistere il proprio figlio, svolgeva sistematicamente attività di compravendita di autovetture attraverso una società di cui era amministratore unico. Il datore di lavoro, avvalendosi di un’agenzia investigativa regolarmente autorizzata, ha raccolto prove sufficienti a dimostrare questo comportamento, procedendo quindi al licenziamento per giusta causa. Dopo l’impugnazione da parte del lavoratore, respinta sia in primo grado che in appello, la Cassazione ha definitivamente confermato la legittimità del provvedimento espulsivo.

I principi giuridici affermati dalla Cassazione

La sentenza n. 2618/2025 ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia di congedo parentale:

  1. Natura del congedo parentale: si tratta di un diritto potestativo del lavoratore, rispetto al quale il datore di lavoro si trova in posizione di mera soggezione, non potendo né rifiutarne né dilazionarne la fruizione.
  2. Finalità specifica dell’istituto: il congedo parentale è concepito esclusivamente per garantire al figlio il diritto all’assistenza genitoriale nei primi anni di vita, e non può essere utilizzato per scopi diversi.
  3. Valutazione rigorosa dell’abuso: proprio in considerazione della compressione dell’iniziativa datoriale e dei costi organizzativi ed economici che il congedo comporta, la condotta del lavoratore che svia le finalità dell’istituto deve essere valutata con particolare rigore sotto il profilo disciplinare.

L’abuso del diritto come grave violazione degli obblighi contrattuali

La Corte ha qualificato il comportamento del dipendente come una grave violazione dei principi di correttezza e buona fede, nonché del dovere di fedeltà previsto dall’art. 2105 c.c. L’utilizzo del congedo parentale per svolgere un’altra attività lavorativa rappresenta infatti:

  • Uno sviamento delle finalità proprie dell’istituto
  • Un utilizzo strumentale del beneficio per obiettivi estranei alla tutela genitoriale
  • Una condotta caratterizzata da significativo disvalore sociale

Implicazioni pratiche per datori di lavoro e dipendenti

Questa pronuncia offre importanti indicazioni per la gestione dei rapporti di lavoro:

Per i datori di lavoro:

  • È confermata la possibilità di verificare, tramite indagini legittime, l’effettivo utilizzo del congedo parentale
  • La prova dell’abuso può giustificare il licenziamento per giusta causa, senza necessità di applicare sanzioni conservative

Per i lavoratori:

  • Il congedo parentale deve essere utilizzato esclusivamente per assistere il figlio
  • Lo svolgimento di altra attività lavorativa durante il congedo è incompatibile con la finalità dell’istituto
  • Le conseguenze dell’abuso possono essere particolarmente severe, fino alla perdita del posto di lavoro

Conclusioni

La sentenza n. 2618/2025 della Cassazione si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che mira a tutelare l’integrità degli strumenti di welfare familiare. Il messaggio è chiaro: il congedo parentale rappresenta una conquista sociale importante, ma proprio per questo il suo utilizzo deve essere corretto e rispettoso delle finalità per cui è stato concepito.

Scarica in pdf la sentenza n. 2618 del 2025, della Corte di Cassazione Sez. Lavoro: Cassazione sentenza n. 2618 del 2025

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